Per quanto si possa essere capaci ad interpretare il linguaggio non verbale, sapere cosa pensano le altre persone, non è così semplice come sembra.
Perchè? perchè ogni persona è unica nella sua complessità.
La percezione che abbiamo degli altri, appartiene al nostro punto di vista ed è legato alla nostra storia e al modo in cui abbiamo imparato ad interpretare.
Questa attitudine nasce dal bisogno di darsi delle spiegazioni rispetto a qualcosa che non è certo e, il bisogno di certezza, è parte di quelli fondamentali per noi e per il nostro equilibrio emotivo.
Il cervello tende ad andare in confusione nel momento in cui non riesce a darsi delle spiegazioni e per gestire tutto questo, dà delle etichette alle cose e alle situazioni per inquadrarle in qualcosa di gestibile e controllabile.
COME INFLUISCE TUTTO QUESTO SULLA PERCEZIONE SOCIALE?
Sarò piaciuta/o? Mi avrà trovato interessante? Ho trasmesso insicurezza, noia oppure mi avranno visto decisa/o e interessante?
Questi sono alcuni esempi di percezione sociale che riguarda quella serie di processi mentali che si mettono in atto su altre persone per cercare spiegazioni rispetto a qualcosa non si conosce e che non è prevedibile.
Negli anni 50 Fritz Heider, psicoterapeuta della Gestalt, ha iniziato a studiare questa tematica.
Quando si incontra qualcuno, la prima cosa che si fa è valutare l'apparenza attraverso l'osservazione delle caratteristiche globali (fisico, abbigliamento, modo di muoversi) per poi spostarsi nello specifico deducendone la personalità.
Interpretare è un'attitudine innata e naturale, ed è stata utile ai nostri antenati per considerare pericoloso qualcosa che in realtà non lo era ma che ha garantito loro la sopravvivenza.
Il problema nasce nel momento in cui di una interpretazione ne si fa una realtà, che può limitare nelle esperienze e nelle conoscenze.
Interpretare la realtà sulla base di quello che è il tuo modo di vedere è come andare in giro con occhiali che rendono l'immagine poco precisa.
Il mondo esterno viene analizzato attraverso emozioni, educazione, genetica, pregiudizi, stereotipi e altri bias cognitivi.
Daniel Kahneman afferma che la realtà sociale soggettiva non ha a che vedere con quella oggettiva legata ai dati.
La percezione che abbiamo verso gli altri è la stessa che usiamo anche per interpretare noi stessi. Questo processo rischia di limitare molto le nostre potenzialità, il nostro benessere e la nostra autostima.
Un pò come quando ascolti la tua voce su un registratore e non la riconosci perchè sei abituato/a a sentirla da dentro, eppure, la voce è proprio la tua! (per me è stato traumatico scoprirla).
Il lavoro di ricerca svolto da Cornell, Essex e Yale, ha rivelato che la tendenza delle persone è quella di sottovalutare l'impatto positivo che ognuno di noi ha sugli altri. In poche parole, si tende più a credere ad un'idea negativa o neutra di noi nella relazione, soprattutto con qualcuno di nuovo, dando voce quindi ad un errore di valutazione stimolando vissuti di ansia sociale o pensieri paranoici.
Alla fine dallo studio emerge che si piace molto di più di quello che si pensa.
Cosa condiziona allora questo processo? l'idea che TU hai di te.
Se ti consideri poco piacevole , avrai maggiori probabilità di credere che anche gli altri pensino lo stesso di te, andando a interpretare atteggiamenti, frasi e comportamenti che vadano ad amplificare questa idea.
Risultato? A lungo andare pensieri di questo tipo alimenteranno il senso di colpa e di inadeguatezza e sarà una bomba per la tua autostima.
Se sei una di quelle persone che tende a credere di non piacere abbastanza agli altri ti invito a chiederti: qual è l'idea che hai di te?
E se iniziassi a pensare di cambiare questa idea in modo propositivo per te? come cambierebbero la qualità della tua vita e delle tue relazioni?
Non si può piacere a tutti, si sa, però puoi iniziare ad apprezzare te stesso/a.
Dott.ssa Anna Antinoro
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